IL LUNGO CAMMINO CHE MI HA PORTATO A SANTA CRUZ

Cosa mi ha portato qui in Bolivia? Di sicuro l’idea di fare qualcosa per i più bisognosi, che posso dire di averla avuta quasi da sempre, ma non ricordo di preciso il giorno in cui ho intrapreso questo cammino, che non è sempre stato semplice.
All’inizio ero dell’avviso che mai e poi mai sarei andato all’estero in aiuto delle popolazioni del cosiddetto terzo mondo (le ultime parole famose) perché ero e sono ancora sicuro che qui da noi ci sia molto da fare ma è stato l’incontro con il compianto Valerio Mazzonetto (persona con gli arti atrofizzati a seguito di un incidente e costretta in una carrozzina ma con un cuore e una sensibilità davvero grandi), che mi ha dato la possibilità di aiutarlo a raccogliere fondi e materiali per il Mozambico, a darmi la spinta decisiva a cercare di realizzare quanto avevo nel cuore.
Da sempre ho frequentato la parrocchia e mi intrufolavo dove c’era bisogno: ho collaborato e poi ho diretto “Tuttinsieme” (un giornalino per i giovani), ho fatto da animatore ed aderito al gruppo canto e all’Azione Cattolica, ho organizzato tornei di calcio e sono stato responsabile sportivo del gruppo Noi, aiutavo a realizzare il presepe… insomma di tutto un po’! Nonostante ciò però ero inquieto, sentivo che mi mancava qualcosa e spesso mi domandavo se potevo fare qualcosa di più per il prossimo. Un giorno in Chiesa trovai un volantino dell’Ufficio missionario diocesano che invitava i giovani a partecipare a degli incontri mensili sul tema della missione ed aveva destato il mio interesse: ero un po’ titubante se provare o meno ad andare ma, grazie anche al parroco di allora Don Gianni, mi sono deciso a provare. Non mi sono mai pentito di questo: mi sono sentito subito come a casa ed ero contento di vedere che lì c’erano molti altri che si stavano ponendo le mie stesse domande inoltre tornavo alla casa sempre più arricchito e rinvigorito nello spirito. Al termine di questi appuntamenti, viene proposto di prestare servizio presso la mensa dei poveri di Padova, a cui dò la mia adesione immediata: i primi giorni non sono stati facili ma è stata un’esperienza indimenticabile, in cui ho potuto confrontarmi con tanta gente e toccare con mano una realtà difficile. Non sono mancati dei bei momenti, come quello in cui Mafoud, un marocchino, mi ha voluto regalare un’arancia che doveva essere il suo pasto serale e che ho accettato soltanto per la sua grande insistenza.
L’anno successivo continuano gli appuntamenti mensili organizzati dall’Ufficio missionario diocesano e viene proposto di fare un’esperienza missionaria in estate. Le possibili mete erano Kenia o Bolivia: nell’udire quest’ultima il mio cuore ha avuto un sussulto, nella mia testa si è acceso qualcosa ed ho capito subito che ci sarei andato. La mia prima esperienza boliviana durò un mese ma fu sufficiente per cambiare il mio modo di pensare e di vedere il mondo, facendomi capire che qualcosa in me era definitivamente mutato, e così la ripeto l’anno successivo. Il ritornare in quella terra fu qualcosa di splendido e di unico: ho avuto la possibilità di seguire i ragazzi dell’hogar (lo stesso in cui sono adesso) rimpiazzando i loro educatori ed instaurando così rapporti più stretti, e ho toccato con mano quell’amore cristiano che avevo spesso sentito ma raramente sperimentato.
Terminata l’esperienza e tornato a casa mi sentivo irrequieto perché avevo la sensazione di aver lasciato le cose a metà e c’era un episodio che non riuscivo proprio a dimenticare: ero in un centro salesiano a Santa Cruz con il direttore e 3 ragazze quando si avvicina una bambina di 4/5 anni con un disegno e mi chiede di portarla in braccio. Per tutto il tempo che son rimasto nella struttura è rimasta con me e mi parlava come se mi conoscesse da sempre: la cosa che più mi ha sorpreso è che ha scelto proprio me invece del direttore, cioè una persona che conosceva molto bene, o di una delle giovani, che potevano ricordarle la mamma! Più ci pensavo e più arrivavo alla conclusione che era un segno ben preciso che il Signore mi stava dando, a cui ben presto se ne aggiunsero tanti altri: andavo da clienti e mi trovavo dei mercatini missionari con prodotti boliviani, in una chiesetta dispersa tra le montagne trovai dei cartelli che promuovevano una raccolta fondi per i bambini della Bolivia, leggevo o guardavo la televisione e veniva fuori sempre qualcosa su quella terra che ormai era nel mio cuore. Non potevano essere soltanto coincidenze!
Ne ero tuttavia intimorito, cercavo di convincermi che andare ad aiutare quei ragazzi non faceva per me e che c’era tanta gente migliore del sottoscritto in grado di farlo… e poi chi me la faceva fare di lasciare amici, famiglia, lavoro, la mia quotidianità e tutte le mie certezze? Era una follia pura! Nonostante tutto ho cominciato a frequentare un corso sulla missione organizzato sempre dall’Ufficio missionario, che mi ha aiutato a crescere come persona. Dopo un viaggio missionario in Brasile, in cui i bambini cercavano la mia compagnia, tutte le mie convinzioni iniziarono a vacillare ed iniziai ad affrontare tutte le paure che mi rendevano sordo a quanto il cuore cercava di dirmi... Cominciai ad ascoltarlo, ad interrogarmi se avevo una valida ragione per cui dire no a quanto il Signore mi domandava e arrivai alla conclusione che se Lui mi chiede di far qualcosa vuol dire che sa che sono in grado di portarla a termine grazie al Suo sostegno e che ciò rientra nel disegno che ha voluto per me.
Il resto della storia già lo conoscete e devo ammettere che, nel ricordare questo mio cammino un po’ travagliato, mi viene da sorridere perché mai avrei immaginato di essere così contento e che tutte le paure incontrate fossero prive di fondamento: seguire il proprio cuore dà davvero grandi soddisfazioni, a volte basta un poco di coraggio ed il resto vien da sé, ricordando però che ad ogni passo ci sarà sempre qualcuno al tuo fianco.

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