sabato 3 giugno 2017

Un hogar differente

Mercoledì l'assistente sociale mi ha chiesto di portare lei e Sandra, una mia figlioccia, a far visita alla sorella minore che sta in un altro hogar: di solito questo compito spetta a don Claudio ma, visto che aveva piovuto e la strada per arrivarci è completamente di terra, era preferibile andarci con il veicolo più nuovo che abbiamo e che soltanto io e Liliana utilizziamo.
Sapevo già che il centro dove eravamo diretti era molto diverso da quelli che già conoscevo poiché la sorellina di Sandra è affetta da idrocefalia, più volte l'avevo sentito nominare ma mai ho avuto l'occasione di visitarlo: questa era la buona volta per farlo! Ero davvero curioso di vedere da vicino questa realtà che ospita diversi ragazzi affetti da differenti forme di disabilità, da quella fisica a quella mentale, ma più ci avvicinavamo più cresceva in me la preoccupazione di come avrei reagito davanti a quello che avrei visto.
Una volta lasciata la strada principale ho percorso quasi due chilometri di sterrato, rovinato e pieno di buche per il recente maltempo: quasi stentavo a credere che una struttura che ospita dei fanciulli con problemi potesse trovarsi disperso nella campagna, senza alcun mezzo di trasporto... Ed io mi lamento che arrivare all'hogar a volte è difficile!
Quando arriviamo, suoniamo il campanello e restiamo in attesa mentre posso intravedere già qualche ospite: un adolescente in carrozzella con una sola gamba ed un giovane con sindrome di down che si avvicina e ci sorride. Ci fanno accomodare ed ecco che arriva Lucia, la sorellina di Sandra, che cammina aiutata da un carrello: è felice di vederci e abbraccia prima la mia figlioccia, poi l'assistente sociale e, inaspettatamente, anche me che non mi aveva mai visto prima.
Sandra si mette a piangere perchè era da tanto che non vedeva la sorella, so che le vuole molto bene, e credo che è veramente commossa nel vederla camminare in quanto l'ha sempre vista in sedia a rotelle: mi ha emozionato tantissimo vedere Lucia consolarla e riempirla di parole d'affetto, una bellissima scena di amore fraterno!
Il tempo passa e si avvicina il momento della merenda: lo spazio in cui ci troviamo si riempie dei piccoli ospiti della comunità e proprio in questo momento comincio a sentirmi in disagio, vedo tanti giovani con diverse forme di disabilità che mi attorniano e nel vederne così tanti assieme sento come se mi mancasse l'aria. A poco a poco riemerge uno dei miei tanti limiti: il non saper come comportarmi quando mi trovo davanti a persone affette da sindrome di down o comunque da qualche disturbo mentale e qui me ce ne sono parecchie! Non è possibile, mi dico, mi ritrovo al punto di partenza dopo aver conosciuto ragazzi che hanno queste problematiche, seppur in forma più leggera, e vivendoci assieme.
La mia reazione è quella di stare sulle mie, di isolarmi o di concentrarmi sulle persone che conosco ma provo una specie di imbarazzo a stare lì, sento che mi stanno osservando ma in tutti i modi voglio evitarlo, non so se posso riuscire a rimanere lì ancora a lungo. Nel rifugiarmi nei miei pensieri arriva un ragazzo, mi abbraccia, mi salta in groppa e, nonostante gli educatori lo ammoniscono di non farlo più, ripete la cosa più volte: gli dico di non far così perchè rischiamo di farci male in due ma alla fine mi strappa un sorriso e gli accarezzo la testa in segno di affetto, con il risultato che si allontana felice.
La mia attenzione poi si rivolge su una ragazza in sedia a rotelle, mi colpisce la sua serenità ed il suo sorriso: si avvicina a Lucia per parlarne e noto che, oltre agli altri inferiori, anche un braccio è paralizzato. Si muove usando un unico arto ma ciò non gli impedisce di redarguire i più piccoli e di fare qualsiasi cosa.
Ad un certo punto noto che a qualche metro da me c'è un giovane in carrozzella che mi fissa: intuisco che ha anche qualche disturbo mentale e cerco di fare finta di niente, anche se la cosa non mi lascia tranquillo. Si avvicina e muove le mani, le batte sulla sedia, sul tavolo ed arriva vicino a me: continua a guardarmi, non so che fare, capisco che vuole prendermi le dita ma sono titubante perchè non so cosa abbia in mente. Si mette in piedi e l'educatore lo mette a sedere, vuole afferrarmi la mano e stavolta lo lascio fare, facendo attenzione ad ogni suo movimento, e ci gioco insieme per un paio di minuti, per me interminabili. Dagli occhi si nota che è contento.
Vedendo tutti questi fanciulli insieme, circa una trentina, mi sembra di trovarmi davanti ad una grande famiglia dove tutti vengono accolti, in cui non si dà importanza al problema di cui sono affetti. Non smetto di pensare che, nonostante la scena a cui sto assistendo, la vita del personale qui non deve essere semplice: molti ospiti hanno problemi gravi di salute e, non essendo agevole arrivare al centro, ciò rappresenta un bel grattacapo; le crisi emotive ed i capricci di questi fanciulli non devono essere facili da gestire; il dover affrontare così tante disabilità tutte insieme con un personale che credo non superi le cinque o sei unità per turno. Cerco di fare un paragone tra quello che sto vedendo e il centro in cui lavoro, anche se sembra improponibile, e non posso che ammirare quello che fanno qui, a volte mi lamento dei miei ragazzi ma qui i problemi sono molto più grandi ed apparentemente tutto si affronta con una serenità disarmante.
Continuo a pensare a quanto sto vedendo, al mio stato d'animo che sembra più tranquillo, mi sento più a mio agio e non mi rendo conto che è già ora di andare: portiamo Lucia in infermeria e, all'uscita, ritrovo il ragazzo in carrozzina che voleva prendermi le mani... Mi guarda e mi viene spontaneo accarezzargli i capelli e dirgli che ci vedremo la prossima volta. Non so se mi ha capito ma mi è sembrato sorridesse.
E' stata un'esperienza tosta, a cui mi capita di ripensarci più volte: mi ha segnato e mi fa capire quanto lunga possa essere la strada per cercare di appianare qualcuno dei miei limiti, senza dimenticare però di essere prima di tutto me stesso davanti a chiunque.
Har baje

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